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Cosa significa Allevamento Intensivo e quali sono le differenze con quello estensivo?

Che ci piaccia la carne non è una novità, forse non tutti sanno che nel mondo il consumo medio globale è pari a 34,5 kg a persona.

In Italia si stima un consumo medio di 80 kg di carne a testa e una produzione globale quadruplicata negli ultimi sessant’anni.

Da stime più recenti emerge che l’industria della carne e di latticini è responsabile di circa il 14% delle emissioni globali di gas serra, un dato che fa capire piuttosto bene quale sia l’impatto (negativo) sulla salute del pianeta.

Ovunque, oggi, vige il sistema dell’allevamento intensivo e industriale che devasta l’ambiente, e che mette sul mercato prodotti animali con residui di antibiotici, ormoni e altre sostanze infiammatorie.

In questo articolo vediamo cosa significa allevamento intensivo e quali sono le differenze con quello estensivo, le loro caratteristiche e conseguenze sulla nostra salute.

Cosa significa Allevamento Intensivo

L’allevamento intensivo è deputato unicamente alla produzione di enormi quantitativi di carne e latticini, tralasciando la salute dell’animale e la qualità del prodotto.

Negli allevamenti intensivi si verificano queste condizioni:

  • gli animali sono allevati in numero molto elevato
  • confinati in capannoni enormi tutto l’anno senza accesso al pascolo
  • continuamente sottoposti a terapia antibiotica per evitare possibili infezioni batteriche che potrebbero insorgere in condizioni di scarsissima igiene ed eccessivo affollamento.

Un’infezione tipica e piuttosto frequente è la mastite, una infiammazione della mammella che si verifica nelle mucche da latte destinate alla produzione massiccia di formaggi e altri latticini.

Per scongiurare questo tipo di infezione, le mucche sono sottoposte a continui cicli di antibiotici ancor prima che l’infezione si manifesti.

Questa forma di terapia preventiva viene definita profilassi, la quale si distingue dalla metafilassi che prevede la somministrazione dell’antibiotico solamente una volta sviluppata l’infezione.

Come se non bastasse, in queste tipologie di allevamento intensivo, gli animali sono sottoposti

  • ad una alimentazione forzata per stimolare l’accrescimento e incrementare la produttività. Questo vuol dire che gli animali mangiano continuamente, giorno e notte
  • oltre alla continua disponibilità di cibo, il tipo di alimenti forniti non fanno parte della naturale alimentazione di questi animali che per natura sarebbero erbivori
  • gli alimenti utilizzati sono mangimi con un miscuglio di cereali come mais, frumento e soia, che contribuiscono all’aumento esagerato del peso caratterizzato da elevate percentuali di grasso e muscolo, che non si potrebbero ottenere con un’alimentazione naturale dell’animale al pascolo.

Per capire l’enorme incremento di produttività di un allevamento intensivo basta considerare che una mucca da latte, lasciata vivere al pascolo, produce dai 15-18 litri di latte al giorno a fronte dei 50-60 litri prodotti da una mucca allevata in modo intensivo.

Negli USA, il tutto è ulteriormente potenziato dalla somministrazione legale di ormoni con produzione giornaliera di latte che raggiunge i 90 litri al giorno per capo.

In seguito a questo pesante sfruttamento, l’animale raggiunge l’esaurimento fisico e ormonale nell’arco dei 2 anni di vita con conseguente soppressione e macellazione.

Da sottolineare che l’animale al pascolo può raggiungere i 20 anni.

Cosa significa Allevamento Estensivo

Diversa, invece, è la politica dell’allevamento estensivo, con animali sempre al pascolo tranne il ricovero notturno e invernale in stalla.

Il numero di capi è nettamente inferiore e l’alimentazione è naturale, costituita da erba e fieno.

I trattamenti antibiotici vengono somministrati solamente in presenza di infezione conclamata, piuttosto rara in queste tipologie di allevamento. Ma mai in modo indiscriminato, per prevenzione, come nel caso degli allevamenti intensivi.

Negli ultimi 25 anni l’Unione Europea ha incentivato l’aumento di produzione negli allevamenti animali, contribuendo pesantemente e negativamente in termini di biodiversità e aumento dei livelli di gas serra.

Antibiotico Resistenza, un problema sanitario preoccupante, peggiorato dall’allevamento intensivo

Un ulteriore elemento da non sottovalutare, esacerbato dagli allevamenti intensivi, è il fenomeno dell’antibiotico resistenza, un problema sanitario che desta forti preoccupazioni.

L’uso eccessivo di antibiotici tra la popolazione, la dispersione di antibiotici dall’industria alimentare e l’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico con gli alimenti, favorisce l’instaurarsi della resistenza a questi farmaci da parte di germi che causano malattia nell’uomo e, in particolar modo, negli ambienti ospedalieri.

Una vera emergenza sanitaria globale che ogni anno causa 700 mila decessi nel mondo e 33 mila solo in Italia.

L’industria deputata alla produzione di uova e pollame è quella maggiormente coinvolta nella crescita dell’antibiotico-resistenza, non a caso, negli ultimi anni vediamo comparire sulle confezione delle uova l’etichetta “prodotte senza l’uso di antibiotici”.

Ritengo doveroso sottolineare che negli allevamenti di polli, l’impatto degli antibiotici sulla flora batterica intestinale, stimola l’accrescimento dell’animale selezionando i ceppi batterici con effetto obesogenico.

In questo contesto, quindi, l’antibiotico non solo previene le possibili infezioni, ma è in grado di velocizzare lo sviluppo dei polli e, quindi, aumentare la produttività.

In conclusione,

per salvare il pianeta e i suoi abitanti, anziché finanziare poche mega aziende produttive concentrate nella pianura Padana e nel centro Italia, sarebbe importante, anzi necessario, tornare a un modello produttivo a base di tante piccole aziende agricole sparse in tutto il territorio nazionale.

È dimostrato, infatti, che allevare pochi capi di bestiame non impatta sull’ambiente, ma al contrario garantisce la tenuta della biodiversità e della sostenibilità