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Ansia e Sindrome dell’Intestino Irritabile: qual e’ la relazione?

Provare ansia è un’esperienza normale, umana e fisiologica, fondamentale per l’essere umano; essa svolge, infatti, diverse funzioni importanti per noi. Livelli normali o moderati di ansia ci permettono ad esempio di arrivare puntuali al lavoro, prepararci ad un esame o ad un colloquio ed occuparci di quello che riteniamo importante. Ma che correlazione c’e’ tra ansia e intestino?

Prima di capirene l’associazione e’ importante definire lo stato ansioso e il suo ruolo nella nostra evoluzione. Persino un’ansia molto forte può fungere da importante meccanismo di difesa: se pensiamo ai nostri antenati, milioni di anni fa, in un mondo preistorico nel quale erano presenti molti pericoli che minacciavano la sopravvivenza della specie, era fondamentale stare allerta per individuare ogni piccolo segnale che potesse rappresentare un pericolo. Si tratta di una sorta di istinto primordiale, presente anche negli animali. A codificarlo per la prima volta fu il fisiologo americano Walter Bradford Cannon, il padre della psicosomatica, che gli diede il nome di fight-or-flight (combatti o fuggi). In pratica, davanti ad un pericolo, un animale ha due possibilità: combattere oppure fuggire; in entrambi i casi, per riuscire ad avere prestazioni elevate, entra in gioco il sistema nervoso simpatico, che rilascia delle sostanze in grado di attivare gli organi del corpo e mobilitare le risorse energetiche per intervenire nelle situazioni di emergenza.

Ansia e paura sono dunque emozioni che hanno sempre accompagnato l’uomo nella sua evoluzione. Tuttavia, se eccessive o durature nel tempo, possono diventare un problema tanto da bloccare anche i gesti più semplici.

La parola “ansia” deriva dal termine latino “anxius” che significa affannoso, inquieto e la radice di questo termine è quella del verbo latino “angere” che vuol dire stringere, soffocare.

L’ansia, infatti, si caratterizza come una condizione di tensione che si manifesta con timore, apprensione, attesa inquieta e, spesso, con una serie di correlati fisiologici come tremori, sudorazione, palpitazioni, senso di affaticamento, difficoltà a respirare normalmente.

La frequenza con cui questa emozione si manifesta nelle persone e la sua diffusa presenza in una serie di disturbi emotivi, la rende una condizione affettiva di estremo interesse.

I disturbi d’ansia sono i più diffusi, nella popolazione, tra i disturbi psicologici. Per esempio, in uno studio americano condotto su 8000 adulti, circa il 28% degli intervistati ha riportato di aver avuto esperienza, almeno una volta nella vita, di sintomi caratteristici di un disturbo d’ansia, secondo i criteri di classificazione del manuale diagnostico dei disturbi mentali allora in uso (DSM-IV-TR) (Kessler, Berglund, Demler, et al., 2005).

I disturbi d’ansia comportano un costo piuttosto elevato per la società e per le persone che ne soffrono. Spesso si associano ad un rischio maggiormente elevato di soffrire di malattie cardiovascolari e di altre patologie (Roy-Byrne, Davidson, Kessler, et al, 2008; Smoller, Pollack, Wassertheil-Smoller, et al., 2007). Le persone con un disturbo d’ansia, inoltre, hanno un rischio raddoppiato di presentare ideazione suicidaria e tentativi di suicidio rispetto alle persone senza una diagnosi psichiatrica (Sareen et al., 2005), hanno una maggiore difficoltà di trovare un’occupazione lavorativa (American Psychiatric Association, 2000) e sono afflitte da gravi disagi interpersonali (Zatzick, Marmer, Weiss, et al., 1997). Tutti i disturbi d’ansia sono associati a riduzioni sostanziali della qualità di vita.

Un tempo si pensava che il disturbo fosse dovuto a condizioni patologiche acquisite durante l’infanzia, principalmente a causa dei genitori che non erano in grado di prendersi cura adeguatamente dei propri figli; si è capito poi che anche i fattori fisiologici ereditari, danni e lesioni cerebrali e alimentazione, giocano un ruolo fondamentale in questa patologia. È evidente come alcuni cibi possano peggiorare gli stati di tensione ad esempio i carboidrati ad alto indice glicemico, zuccheri raffinati, bevande alcoliche o bevande nervine.

Gli sviluppi nell’ambito delle neuroscienze, della nosologia, dell’epidemiologia e della psicobiologia hanno permesso, negli ultimi anni, un notevole progresso nella comprensione dei disturbi d’ansia che, nel DSM-5, sono classificati in:

  • Disturbo d’ansia da separazione;
  • Fobia Specifica;
  • Disturbo di panico;
  • Agorafobia;
  • Disturbo d’ansia generalizzato;
  • Disturbo ossesivo-compulsivo;
  • Disturbo post-traumatico da stress;
  • Altro Disturbo d’ansia specifico.

Le situazioni stressanti e ansiogene inducono un’iper-attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che culmina con la produzione di elevati livelli di cortisolo. Gli ormoni dello stress, immunomediatori e neurotrasmettitori possono attivare le cellule neuronali del sistema nervoso gastroenterico, le quali possono indurre un cambiamento dell’ambiente intestinale e della flora batterica.

La scienza ha definito che il distretto gastrointestinale è l’apparato più “densamente popolato”: In ogni millimetro risiedono circa 100000 miliardi di microrganismi che possono abitare l’intestino di ognuno di noi. 

Per decenni questo organo è stato considerato una parte del corpo secondario, deputato unicamente all’assorbimento delle sostanze nutritive e all’eliminazione delle molecole di scarto ma, da diversi anni ormai, è diventato un protagonista della ricerca scientifica.
Nessuno mai aveva dato altra importanza al di fuori di queste semplici funzioni, al punto da ritenere i disturbi intestinali, privi di un danno organico (disturbi funzionali), un frutto della mente e troppo spesso poco considerati.

All’interno del nostro intestino si è scoperta la presenza del microbiota, ovvero la comunità microbica del tratto enterico, costituita prevalentemente da batteri, lieviti, parassiti e virus.

È innanzitutto necessario sottolineare che il microbiota intestinale è legato a diversi fattori tra i quali età, sesso, stile di vita, alimentazione e familiarità genetica. E’ in grado di svolgere una serie di funzioni essenziali per l’ospite: funzioni di tipo metabolico, quindi sintesi di sostanze utili all’organismo, di tipo enzimatico, di protezione e stimolo verso il sistema immunitario e di eliminazione di sostanze tossiche. Pertanto, il ruolo che svolge un microbiota in buon equilibrio, in eubiosi, è fondamentale per la salute generale dell’organismo.

Al contrario, con il termine disbiosi, si definisce una condizione di squilibrio microbico, in termini quantitativi e qualitativi, della composizione del microbiota intestinale causato da una crescita eccessiva di batteri nocivi all’interno dell’intestino.

Evidenze scientifiche stabiliscono che la disbiosi è alla base di molteplici disturbi intestinali, tra cui i disturbi funzionali, come la sindrome del colon irritabile (IBS) e che tale disbiosi è in grado di influenzare il SNC.

L’IBS è caratterizzata dall’assenza di danno organico visibile agli esami endoscopici (gastroscopia e colonscopia), ma dalla presenza persistente di sintomi quali: gonfiore addominale e disconfort, che talvolta può evolvere in episodi acuti di crampi addominali. La sintomatologia è accompagnata da un’alterazione dell’alvo in termini di frequenza delle scariche e consistenza delle feci. In particolare, la sindrome del colon irritabile si può suddividere in:

  • IBS-D ovvero con prevalenza di alvo diarroico;
  • IBS-C, con prevalenza di alvo stitico;
  • IBS-M, caratterizzato da alvo misto.

Tale condizione impatta notevolmente sulla qualità di vita di chi ne soffre, a causa dei malesseri improvvisi, impedendo ed ostacolando i rapporti sociali, inducendo a stati d’ansia e depressione.

I primi sospetti della comunicazione diretta tra intestino e cervello avvenne nei primi anni del 1800, dove il medico inglese James Parkinson, descrisse alcuni dei primi casi di paralisi tremante che sarebbe poi diventata nota come morbo di Parkinson.
Il medico notò che l’addome del suo paziente risultava meteorico e dolente.
Ad oggi sappiamo che molte persone che soffrono di morbo di Parkinson hanno un alvo stitico molto prima di presentare problemi di mobilità.

In merito alla comunicazione intestino-cervello, un ruolo chiave lo riveste il microbiota intestinale e la sua interazione con la parete intestinale, la quale è una barriera selettiva che permette l’assorbimento dei nutrienti e l’eliminazione delle molecole di scarto mediante le feci.

La selettività della barriera intestinale è una proprietà fondamentale poiché impedisce il rilascio in circolo di molecole tossiche per l’organismo (inquinanti, contaminanti, pesticidi ecc). Un esempio viene rappresentato dal lipopolisaccaride (LPS), un componente della membrana esterna di alcuni batteri, che costituisce una potente tossina per l’uomo. In condizioni di disbiosi intestinale, come avviene nell’IBS, la barriera perde di selettività a causa della disgregazione delle giunzioni strette tra gli enterociti, rilasciando in circolo la tossina.

Questo passaggio scatena una risposta immunitaria ed infiammatoria che è in grado di arrecare conseguenze sul sistema nervoso, la neuroinfiammazione.

Vie di segnalazione ipotizzate tra il microbiota intestinale, la barriera intestinale e il cervello. Una barriera intestinale disfunzionale o “intestino permeabile” potrebbe consentire uno stato proinfiammatorio guidato dal microbiota con implicazioni per la neuroinfiammazione.

La neuroinfiammazione svolge un ruolo ormai consolidato nei disturbi neuropsichiatrici tra i quali l’ansia, infatti, i parametri infiammatori risultano alterati a livello del SNC e SNP; queste alterazioni si correlano sia strutturalmente, sia funzionalmente con il disturbo stesso e la sua sintomatologia.

Si è notato inoltre che, in condizione di disbiosi, certi stimoli provenienti dal lume intestinale sono in grado di generare, in alcune cellule dell’epitelio intestinale, dei segnali che, giungendo fino al SNC, modificano funzioni quali la percezione del dolore e la reazione emotiva e comportamentale dell’individuo.

Ad oggi si ritiene che la comunicazione bidirezionale tra i due organi possa coinvolgere non solo il circolo sanguigno, ma anche il nervo vago che, come una vera e propria “autostrada”, trasferisce informazioni stabilendo un’asse chiamato asse intestino-cervello.

L’interazione intestino-cervello è di tipo biochimico, ovvero i microorganismi sono in grado di sintetizzare metaboliti batterici e neurotrasmettitori come il GABA e la Serotonina.

Recenti studi definiscono che la barriera ematoencefalica impedisce il passaggio della serotonina, ma ciononostante, i topi germ free (topi privati del microbiota) mostrano livelli inferiori di serotonina e il suo precursore triptofano a livello dell’ippocampo, rispetto al gruppo di controllo; ciò suggerisce che il microbiota modula le vie di trasmissione della serotonina nel SNC e che non solo modifica la permeabilità della barriera intestinale, ma anche della barriera ematoencefalica.

La comunicazione tra microbiota e cervello, mediante il nervo vago, svolge un ruolo chiave nel modulare il comportamento dell’animale in esame, come confermato da numerosi studi. Per esempio la somministrazione di Lactobacillus rhamnosus JB-1, un probiotico, modifica l’espressione dei recettori per il GABA in aree cerebrali associate alle emozioni (ippocampo e amigdala), modulando i comportamenti ansiosi. A sostegno di tale studio si è ulteriormente dimostrato che gli effetti positivi, dopo la somministrazione del ceppo in questione, svanivano, in seguito a vagotomia (recisone chirurgica del nervo vago).

E’ presente in commercio, inoltre, una nuova classe di probiotici, definiti psicobiotici, costituiti da batteri capaci di produrre neurotrasmettitori, quali GABA e serotonina, che possono essere utilizzati sia come coadiuvanti nella sindrome dell’intestino irritabile, poiché limitano l’iper-sensibilità viscerale, ma anche nei disturbi d’ansia andando ad agire nelle connessioni neuronali di questi due importanti neurotrasmettitori.

Se pensiamo che durante la vita media di un uomo (circa 80 anni) consumiamo 30-40 tonnellate di cibo, possiamo capire l’importanza che l’alimentazione, la funzione intestinale e lo stile di vita hanno nelle nostre vite e nel nostro benessere non solo fisico, ma anche psichico.

Cartesio, nel 1633 scrisse De homine, e cercò di spiegare la relazione tra corpo e mente, ipotizzando che questo contatto potesse avvenire a livello della ghiandola pineale. Ad oggi è stato dimostrato, anche se arrivando a conclusioni diverse dalla sua, come il nostro organismo, nel complesso, lavori in sinergia; proprio per questo bisogna salvaguardarlo in ogni sua parte.

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-Dispense del professor Riccardo Averardi. Università degli studi Niccolò Cusano.

-Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia. Claudio Sica.